Un’occasione da non perdere!
Il Covid-19 ha provocato l’implosione del sistema economico. Non vi è categoria sociale che improvvisamente non si sia trovata – e soprattutto si troverà – a dover fare i conti con una realtà di mercato profondamente mutata.
Oggi, a seguito di quanto verificatosi in questi ultimi mesi, tutti i governi e specialmente quelli di Italia, Francia e Spagna chiedono aiuto all’U.E. per far ripartire le rispettive economie. In Italia la classe politica e l’opinione pubblica grazie all’emergenza hanno “scoperto” che la sanità e l’istruzione sono i settori che più necessitano di investimenti per raggiungere gli standard di efficienza degli altri paesi dell’Europa e quindi sono necessarie ancora più risorse per far ripartire l’economia. Mentre infuriano le polemiche sul tipo di aiuto da parte dell’Unione (prestiti con un basso tasso d’interesse e a lunga scadenza, da restituire solo in parte), forse è arrivato il momento di fare una necessaria riflessione e cominciare a ragionare su come reperire le risorse al nostro interno per attuare una giustizia sociale che possa riequilibrare l’enorme divario creatosi nel tempo nelle retribuzioni.
Prendiamo in esame il pubblico impiego: una giungla di emolumenti, una parcellizzazione degli stipendi, premi e indennità a gogò hanno determinato il distanziamento delle punte della forbice retributiva, tanto da costituire un vero e proprio scandalo.
A nostro avviso è da qui che è necessario incominciare, non solo per ridistribuire risorse, ma per dare un forte segnale politico se si vuole ripartire con il piede giusto.
Al di là delle enunciazioni di principio, sottoponiamo all’attenzione di chi legge la seguente proposta che richiama quanto è stato già attuato negli anni ’50 e 70. Ci riferiamo alla legge sul pubblico impiego DPR del 10 gennaio 1957, n.3 e ai nuovi stipendi previsti dal DPR 28 dicembre 1970, n. 1079, con il quale si mise ordine nelle carriere e nelle corrispettive retribuzioni. Per queste ultime furono fissate con il sistema della parametrazione le due retribuzioni di massima e di minima (corrispondenti alle due punte della forbice) e si stabilì che, ad esempio, all’ambasciatore (e qualifiche equiparate) fosse assegnato il parametro 825 e al commesso 100. All’interno di questi valori si articolavano tutte le carriere (scuola compresa) ed allora perché oggi non applicare e estendere questo principio, oltre che al comparto Stato, anche a tutti i lavoratori dipendenti di enti pubblici, economici e non (come ad esempio Regioni, Province, Comuni) andando a chiudere le due punte della forbice? In questo disegno complessivo di riordino perché non far rientrare, com’era prima, anche le forze di polizia, la protezione civile e le forze armate?
Si potrebbe, con l’occasione del riordino della sanità pubblica, far ritornare tutto il personale paramedico alle dipendenze dirette della struttura per la quale lavora e non più alle dipendenze della cooperativa di turno, così da ottenere con un maggior coinvolgimento, forse anche maggiore disponibilità.
Con riferimento poi a questa parametrazione erga omnes, là dove si dovesse rendere necessario si potrebbe ricorrere ad un’indennità per funzioni particolari. Oggi in un ministero abbiamo dirigenti di 1^ fascia che non solo percepiscono il triplo di un loro collaboratore, ma con “un’invenzione” di questi ultimi anni, oltre a percepire lo stipendio per il loro lavoro, essi conseguono anche il c.d. “premio di risultato annuale”, un compenso di media pari a tre mensilità, riconosciuto nominalmente anche a tutti i collaboratori del dirigente, ma la cui quantificazione viene valutata sotto i mille euro. Forse questo premio andrebbe distribuito in egual misura a tutti. Così facendo non solo viene superpagato un dirigente già retribuito per il proprio lavoro, ma anche il riconoscimento del risultato torna sostanzialmente a lui e non a chi ne ha consentito il conseguimento!
Per tornare all’ipotesi sopra delineata, se attuata, si raggiungerebbe un duplice scopo: si darebbe un riconoscimento sostanziale alla dignità del lavoro che viene effettivamente svolto ai diversi livelli, in tempi in cui lo si riconosce come diritto e lo si monetizza anche a chi non lo fa (il c.d. reddito di cittadinanza), e contestualmente verrebbe affermato il comune sentire del sentirsi effettivamente collettività.
Il problema economico di oggi non è più solo produrre, ma distribuire, cioè fare in modo che la ricchezza frutto del lavoro coordinato di molti, torni nelle mani di chi l’ha effettivamente prodotta.