Minerva senza più testa

Le dimissioni del Ministro Fioramonti, con la contestuale disarticolazione del MIUR in due distinte strutture ministeriali non sono state indolori per nessuno e la scelta fatta al di là del problema amministrativo è stata un pessimo segnale culturale.

Fioramonti ha voluto lasciare l’incarico di governo non fondamentale ma pur sempre prestigioso per correre un’avventura politica autonoma rispetto al partito di provenienza. Tale scelta politica apparentemente nobile è stata motivata con il mancato stanziamento di fondi per il MIUR ma la contestuale fuoruscita dallo stesso movimento e la notizia del mancato versamento di ben 70 mila euro in merito ad un impegno sottoscritto al momento dell’accettazione della candidatura lasciano un forte dubbio sulle scelte fatte.

Ma le dimissioni del ministro Fioramonti non sono state e non saranno indolori per la compagine ministeriale che, dopo non molti anni di gestione unitaria, si vede nuovamente disarticolata nelle due macro-aree della Scuola e dell’Università. Macro-aree, legate “ab origine” dalla convinzione culturale dell’unitarietà del sistema formativo nazionale, che necessita di un’autorità unica di sintesi e non di due soggetti separati che possono ritrovarsi anche contrapposti nelle scelte da fare. Ora per effetto del decreto legge emanato il 9 gennaio scorso, queste due aree potranno muoversi secondo una loro logica e non nella visione operativa unitaria di cui si è detto, che avrebbe dovuto e potuto moltiplicare le sinergie formative.

Oggi le due strutture dovranno cimentarsi nell’immediato e in un tempo indefinibile, nella defatigante operazione di spartirsi le spoglie dell’intero apparato. Una realtà complessa fatta di spazi, di personale, strumenti tecnologici, e quant’altro concorre a costituire l’assetto organizzativo di una struttura ministeriale. E, ciò, a prescindere dai costi dell’operazione, nel momento in cui il Governo è alla ricerca affannosa di risorse finanziarie per la riduzione del debito pubblico. Non debbono essere sottovalutati gli effetti di questo c.d. spacchettamento sulle condizioni psicologiche del personale, di quel “capitale umano” su cui si fonda la capacità concreta dell’istituzione di realizzare le sue finalità istituzionali.

I Capi Dipartimento, nominati prima dell’emanazione del decreto-legge attendono con giustificata ansia di sapere quale sarà la loro sorte dopo l’entrata in vigore del provvedimento. Stessa incertezza, se non maggiore, per i direttori generali (24) che dipendono dai primi e dei dirigenti di base, che a loro volta dipendono dai secondi e che dà loro dovranno ottenere l’incarico.

Purtroppo serpeggia, più o meno in tutti, la sensazione di essere alla mercé di una classe   politica più sensibile ai propri equilibri di sopravvivenza e di immagine che agli interessi della scuola, dell’Università e della Pubblica Amministrazione.

 

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