Anno scolastico in salvo? Scuola (e sistema sociale) in forse

Prosegue inarrestabile il flusso della legislazione d’urgenza, inaugurata nel 2020 col decreto-legge n. 1 del 9 gennaio. Provvedimento che, non è superfluo ricordarlo, è nato per dirimere i conflitti già latenti nella maggioranza governativa e acuitisi con le dimissioni del ministro Fioramonti rassegnate nel mese dicembre. Il decreto in parola ha riproposto e messo in atto il progetto, periodicamente rispolverato dalla classe politica e puntualmente rivelatosi un fallimento, di suddividere il ministero in due distinte entità: Istruzione da una parte, Università e Ricerca dall’altra.

E ciò non tanto per razionalizzare organicamente la gestione delle competenze ministeriali, quanto piuttosto per offrire ai decisori di turno un incarico supplementare da distribuire fra i rissosi compagni di viaggio. In quel momento, che ora sembra davvero lontano anni luce, il Governo non volle minimamente considerare le conseguenze economiche dello “spacchettamento” né i rischi amministrativi e organizzativi che l’operazione comportava.

L’agenda politica era dettata solo dall’urgenza di salvaguardare la tenuta del patto di governo. Così il Ministero, come altre volte in passato, fu oggetto di “spacchettamento” e i due “pacchi” o “pacchetti” furono consegnati a Lucia Azzolina (Istruzione, in quota 5S) e a Gaetano Manfredi (Università e Ricerca, in quota PD).

Poi, sulle inevitabili e paralizzanti diatribe per la conquista dei rispettivi spazi vitali e la costruzione dei nuovi assetti e organigrammi, si è abbattuto il ciclone del “Corona-Virus”. Ed è stato quest’ultimo a dettare la nuova agenda politica su tutto il mondo delle istituzioni civili, scuola e amministrazione compresa. Di conseguenza, anche la scuola, come del resto tutte le strutture della vita economica e sociale, ha dovuto adeguarsi alle misure di contenimento della relazionalità umana, che costituiva e costituisce il contesto naturale della sua vita quotidiana.

Per contrastare il contagio, la dimensione telematica è apparsa come la soluzione empirica ottimale per cercare di garantire – nei limiti del possibile – il funzionamento del sistema formativo. Ma, anche, non bisogna negarlo, per offrire la copertura giuridica delle assenze del personale, interdetto dall’accesso al posto di lavoro. Il Ministero, anzi, ora i due Ministeri, assieme all’universo delle istituzioni formative, sono stati costretti ad affidarsi alle dinamiche della rete digitale per assolvere o, quanto meno, per ben simulare di assolvere la funzione formativa istituzionale. E’ di pochi giorni fa il decreto-legge n. 22 dell’8 aprile, che affronta le principali problematiche della scuola, dell’università e della ricerca, nel segno dell’emergenza più totale con connesso ricorso alle dinamiche digitali. Lo spunto del provvedimento è stato quello della necessità di garantire la regolare conclusione dell’anno scolastico, messo in forse dal blocco dell’attività didattica e dal perdurare obbligato delle assenze. Considerata la gravità del momento, il Governo ha allargato il tiro della propria azione, toccando ogni possibile area di intervento, direttamente o indirettamente connessa con il sistema formativo. E così le misure urgenti hanno disciplinato lo svolgimento degli esami di maturità e quelli di terza media, notevolmente semplificati e ridotti, l’avvio dell’anno scolastico 2020-2021, nonché la continuità di gestione delle Università e delle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica.

Il decreto-legge ha, inoltre, sospeso le prove concorsuali per l’accesso al pubblico impiego, semplificato le procedure per gli esami di Stato di abilitazione all’esercizio delle professioni e dei tirocini professionalizzanti e così via. Tutto il sistema formativo, selettivo e certificativo pubblico, travolto in un modo o nell’altro dall’emergenza sanitaria, è stato oggetto del citato provvedimento d’urgenza dell’8 aprile scorso. Ed è questo atto, nelle cui premesse si può leggere il nutrito elenco dei provvedimenti varati da febbraio in poi, che suscita due riflessioni non marginali e, per molteplici aspetti, strettamente connesse.

Secondo la prima possiamo dire che la legislazione eccezionale (semplificatoria, derogatoria e prevalentemente assolutoria) ha salvato la regolare conclusione dell’anno scolastico in corso, assicurando – nel contempo – il regolare inizio del prossimo. Ma, dopo questa drammatica fase affidata alla sopravvivenza digitale, la scuola sarà in grado di riprendere il cammino, ricominciando a svolgere la sua funzione vitale all’interno della società? E la classe politica saprà ascoltare le ragioni di tutti i protagonisti del mondo educativo, senza cullarsi sugli allori di una stagione digitale, affannosamente evocata e sperimentata sotto lo spauracchio del virus? L’appello da rivolgere a tutti ai decisori di turno è quello di impegnarsi responsabilmente e concretamente ad affrontare i problemi del “dopo”, senza ignorare gli errori e le omissioni di “prima”.

Riflessione numero due. Considerata la complessità e l’interdipendenza delle problematiche formative, non sarebbe stato più utile avere in campo un’unica e autorevole struttura ministeriale di gestione che le affrontasse nella loro globalità e connessione?

Oltre a questa recente scelta, che costituisce un errore deliberatamente commesso per lucrare vantaggi politici interni, altri errori emergono sullo scenario della riflessione collettiva. Il principale di essi è senza dubbio la privatizzazione a tutto campo, che a suo tempo la classe politica, anche col supporto della mobilitazione dei sindacati confederali, introdusse nel nostro ordinamento.

Tale operazione politico-culturale, enfatizzata come modello gestionale ineguagliabile per tutte le esigenze della collettività organizzata, ha portato gradualmente alla destrutturazione dell’Amministrazione pubblica, a cominciare da quella dello Stato. La conseguenza di questo approccio al sistema sociale è stata la neutralizzazione delle competenze e lo svilimento della professionalità, assieme alla pratica sempre più diffusa delle nomine di matrice politica ai vari livelli di responsabilità pubblica. Si è giunti così ad alterare l’assetto organizzativo e funzionale pubblico a tutto vantaggio del sistema imprenditoriale privato e a progressivo danno dei cittadini. In campo sanitario, che è quello oggetto della nostra riflessione, si è giunti all’eliminazione del ruolo dello Stato dalla gestione della sanità pubblica col corrispondente “dono” di ampi spazi di mercato alla sanità privata in connubio col potere delle Regioni nel territorio.

Nel contempo il potere politico, con responsabilità trasversali, ha proceduto allo smantellamento dell’assetto sanitario pubblico con tutti gli effetti distorsivi connessi. Basta ricordare in proposito, la soppressione di numerosi presidii sanitari di prossimità, utilissimi per l’utenza, l’eliminazione di un numero impressionante di posti-letto negli ospedali, il drastico ridimensionamento delle strutture di pronto-soccorso, il blocco permanente delle assunzioni del personale sanitario e para sanitario. Provvedimenti  assunti tutti nel quadro della politica di contenimento della spesa pubblica e, surrettiziamente, dell’offerta di spazi di lucro alla sanità privata.

Il “clou” di questa politica di destrutturazione del sistema di supporto all’esercizio del diritto alla salute, è stato il taglio vistoso e costante dei fondi per la ricerca scientifica. Ora che i nodi sono venuti al pettine con la tragica vicenda della pandemia provocata dal “Corona-virus” è da augurarsi un superamento radicale e responsabile delle scelte a suo tempo operate.  E ciò con un ritorno del ruolo dello Stato e della politica sanitaria pubblica a reale vantaggio dei cittadini, la cui salute è stata messa in grave pericolo da scelte irresponsabili in gran parte da rivedere, se non si vuole che la società sprofondi nel baratro.

                                                                                                 GiF   

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